Dicembre 2021
Vesicular Acetylcholine Transporter Alters Cholinergic Tone and Synaptic Plasticity in DYT1 Dystonia
Autori:
Annalisa Tassone, G. Martella, M. Meringolo, V. Vanni, G. Sciamanna, G. Ponterio, P. Imbriani, P. Bonsi, A. Pisani
Corresponding author: Antonio Pisani (
antonio.pisani@unipv.it
), Department of Brain and Behavioral Sciences, University of Pavia; IRCCS Mondino Foundation, Pavia, Italy
Pubblicato su: Mov Disord. 2021 Dec;36(12):2768-2779. doi: 10.1002/mds.28698. Epub 2021 Jun 26
Annalisa Tassone
Laboratory of Neurophysiology and Plasticity, IRCCS Fondazione Santa Lucia, Rome, Italy
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La neurotrasmissione mediata dall'acetilcolina, in sinergismo con la dopamina, svolge un ruolo chiave nell’ambito dei meccanismi alla base dell'attività e della plasticità sinaptica corticostriatale. Di conseguenza, le alterazioni della trasmissione colinergica striatale svolgono un ruolo fisiopatologico essenziale, sebbene non del tutto chiaro, nell’ambito nei disordini del movimento, in particolare nella distonia. Lo scopo del lavoro condotto dalla Dott.ssa Tassone e coll. condotto mediante un approccio multidisciplinare, è stato quello di misurare possibili modificazioni di vari marcatori di attività colinergica, ed il relativo impatto funzionale, nella fisiopatologia della distonia. Gli autori hanno applicato tecniche elettrofisiologiche (patch-clamp) ed immunoistochimiche, compresa la valutazione dell’attività enzimatica e Western blotting, al fine di analizzare in dettaglio la neurotrasmissione colinergica nello striato dorsale in modelli murini di distonia DYT1. A dimostrazione di un alterato tono colinergico, i risultati dello studio hanno evidenziato un aumento significativo del trasportatore vescicolare di acetilcolina (VAChT), responsabile del trasporto a livello presinaptico di acetilcolina (ACh) dal citosol nelle vescicole sinaptiche e dell’attività dell’enzima acetilcolinesterasi (AChE). Dalle registrazioni elettrofisiologiche è inoltre emerso che l'attivazione farmacologica dei recettori dopaminergici (D2), contrariamente a quanto atteso, determinava un ulteriore anomalo aumento del tono colinergico a livello striatale ed è stato inoltre osservato un ridotto effetto degli inibitori AChE sull'eccitabilità degli interneuroni colinergici. Infine, la manipolazione sperimentale neurotrasmissione mediata dall'acetilcolina, mediante il blocco del VAChT tramite un inibitore selettivo, era in grado di ripristinare i deficit di plasticità sinaptica a lungo termine della via corticostriatale. Nel complesso, i risultati dello studio dimostrano una significativa alterazione della trasmissione colinergica a livello striatale, in modelli sperimentali di distonia, ed in particolare, il ruolo chiave di questa alterazione nell’ambito dei meccanismi di plasticità sinaptica. In questo contesto, il VAChT rappresenta un target promettente per misurare i deficit colinergici nei pazienti affetti da distonia. Inoltre, un ulteriore caratterizzazione del ruolo fisiopatologico della disfunzione colinergica striatale nella distonia potrebbe aiutare a identificare potenziali obiettivi per l'intervento farmacologico a fini terapeutici. Ciò è particolarmente rilevante se si considera che di recente sono stati sviluppati nuovi ligandi da impiegare nella tomografia a emissione di positroni (PET) selettivi per VAChT per misurare la funzione colinergica nelle malattie di Parkinson e di Alzheimer.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Novembre 2021
Longitudinal white matter damage evolution in parkinson’s disease
Autori:
Pietro Giuseppe Scamarcia, F. Agosta, E.G. Spinelli, S. Basaia, T. Stojković, I. Stankovic, E. Sarasso, E. Canu, V. Markovic, I. Petrović, E. Stefanova, E. Pagani, V.S. Kostic, M. Filippi
Corresponding author: Massimo Filippi (
filippi.massimo@hsr.it
), IRCCS San Raffaele Scientific Institute, Milan, Italy
Pubblicato su: Mov Disord. 2022 Feb;37(2):315-324. doi: 10.1002/mds.28864. Epub 2021 Nov 22
Pietro Giuseppe Scamarcia
Neuroimaging Research Unit, Division of Neuroscience, IRCCS San Raffaele Scientific Institute, Milan, Italy
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Un crescente numero di evidenze scientifiche, in parte ancora controverse, testimoniano che il deterioramento della sostanza bianca potrebbe avere ruolo nel deterioramento cognitivo, sia nel contesto di un fisiologico invecchiamento cerebrale, sia nell’ambito delle malattie neurodegenerative, ed in particolare nella Malattia di Parkinson. Nello studio condotto dal Dott. Scamarcia e coll. È stata valutata l'evoluzione longitudinale del danno micro- e macrostrutturale della sostanza bianca cerebrale e possibili relazioni con il quadro clinico della malattia di Parkinson. Sono stati complessivamente valutati 154 pazienti affetti da malattia di Parkinson, sottoposti longitudinalmente, con cadenza annuale per un massimo di 4 anni, a valutazione clinica, comprensiva di approfondita valutazione cognitiva e a studio di risonanza magnetica nucleare (RMN) cerebrale. Le alterazioni microstrutturali della sostanza bianca sono state quantificate mediante l’impiego di tecniche di imaging con tensore di diffusione. Le alterazioni macrostrutturali della sostanza bianca sono state invece quantificate in termini iperintensità della sostanza bianca in immagini RMN pesate in T2. I dati raccolti nei pazienti sono stati confrontati con quelli ottenuti in un campione di 60 soggetti di controllo sani, sottoposti al medesimo protocollo di studio, sebbene in un’unica valutazione (basale). È stata effettuata un’analisi statistica ad hoc per indagare specificatamente se eventuali alterazioni micro- e macrostrutturali della sostanza bianca potessero rappresentare un fattore di rischio di progressione della malattia di Parkinson. L’analisi dei dati ottenuti durante la valutazione basale ha confermato il dato, noto in letteratura, di un significativo deterioramento della sostanza bianca nei pazienti con Malattia di Parkinson rispetto ai controlli sani. Il risultato innovativo dello studio riguarda l’iperintensità della sostanza bianca, il cui volume, al basale, è emerso come possibile fattore di rischio per la progressione verso il deterioramento cognitivo lieve nei pazienti. A questo proposito, le modificazioni del volume dell’iperintensità della sostanza bianca nel tempo sono risultate associate sia con il livello di compromissione cognitiva globale, sia con specifiche alterazioni delle funzioni esecutive e del linguaggio. Lo studio suggerisce pertanto una possibile associazione tra deterioramento macrostrutturale della sostanza bianca e delle funzioni cognitive nella malattia di Parkinson, a differenza del danno microstrutturale il cui contributo sembrerebbe invece trascurabile. Tra le possibili limitazioni dello studio, viene menzionata in particolare la mancata valutazione longitudinali nel gruppo di controllo, che non ha quindi permesso di approfondire il ruolo del deterioramento della sostanza bianca, e possibili relazioni con il deterioramento delle funzioni cognitive, nel contesto dell’ invecchiamento fisiologico. Lo studio offre tuttavia nuovi ed interessanti spunti, da approfondire eventualmente in ulteriori ricerche, nell’ottica di identificare validi biomarcatori neuroradiologici per monitorare la progressione dei sintomi della malattia di Parkinson.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Ottobre 2021
Transcranial Magnetic Stimulation exerts “rejuvenation” effects on corticostriatal synapses after partial dopamine depletion
Autori:
Giuseppina Natale, A.Pignataro, G. Marino, F. Campanelli, V. Calabrese, A. Cardinale, S. Pelucchi, E. Marcello, F. Gardoni, M.T. Viscomi, B. Picconi, M. Ammassari-Teule, P. Calabresi, V. Ghiglieri
Corresponding author: Veronica Ghiglieri (
veronica.ghiglieri@uniroma5.it
), San Raffaele University, Rome, Italy; Laboratory of Neurophysiology, IRCCS Fondazione Santa Lucia c/o CERC, Rome, Italy
First author: Giuseppina Natale e Annabella Pignataro (co-authorship)
Pubblicato su: Mov Disord. 2021 Oct;36(10):2254-2263. doi: 10.1002/mds.28671. Epub 2021 Aug 2
Giuseppina Natale
Department of Medicine, University of Perugia
Department of Neuroscience University Cattolica del Sacro Cuore, Rome
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Nella malattia di Parkinson, la degenerazione della via nigrostriatale determina varie alterazioni neurofisiologiche, a più livelli del sistema nervoso centrale, nel cui contesto un ruolo chiave è svolto dalle modifiche dell’attività sinaptica mediata dai recettori N-metil-D-aspartato (NMDAR) nei gangli della base. La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) è una metodica neurofisiologica consolidata che consente di modificare in maniera non invasiva l’attività di vari circuiti corticali, inclusi i sistemi glutammatergici e dopaminergici. L’rTMS è stata impiegata in numerosi studi neurofisiologici nell’uomo, affetto da malattia di Parkinson ed in modelli sperimentali animali. Tuttavia, ad oggi, gli effetti della rTMS nelle prime fasi della Malattia di Parkinson sono poco studiati, ed in particolare, nessuno studio ha specificatamente indagato ex vivo, nell’animale da esperimento, i possibili meccanismi alla base degli effetti a lungo termine della rTMS. Nel presente studio condotto dalla Dott.ssa Natale e coll., sono stati studiati gli effetti della rTMS, erogata in vivo secondo il protocollo di stimolazione theta-burst intermittente (iTBS), in un modello di parkinsonismo nel ratto parzialmente leso con 6-idrossi-dopamina. Gli autori hanno specificatamente indagato la fase precoce della malattia. Ai fini dello studio, gli autori hanno raccolto misure comportamentali, dati immunoistochimici ed elettrofisiologici, e sono stati specificatamente indagati ex vivo i cambiamenti strutturali e funzionali dei neuroni spinosi striatali (SPNs) negli animali precedentemente esposti in vivo al protocollo di stimolazione iTBS. Nell’insieme, i risultati dello studio dimostrano che il trattamento mediante iTBS , in aggiunta ad effetti comportamentali, era in grado di facilitare una serie di modificazioni plastiche nei circuiti dei gangli della base che potrebbero avere un ruolo compensatorio nell’ambito della Malattia di Parkinson. Gli autori hanno infatti osservato che il protocollo iTBS era in grado di indurre un potenziamento a lungo termine (LTP), e di modificare la densità delle spine dendritiche, nella via corticostriatale. Gli effetti della stimolazione iTBS venivano tuttavia aboliti dall’applicazione di un inibitore selettivo della subunità GluN2B dei NMDAR. I risultati dello studio suggeriscono pertanto che gli effetti del trattamento iTBS potrebbero essere mediati dall’attivazione di specifiche subunità NMDAR, che sono i principali regolatori della plasticità strutturale durante le fasi dello sviluppo. Ciò rappresenta, indubbiamente, un importante passo in avanti sia verso l’identificazione di un possibile bersaglio molecolare da esplorare in studi futuri sia ai fini di una più approfondita comprensione della potenziale applicazione della rTMS come possibile aggiunta alle terapie tradizionali attualmente impiegate nella Malattia di Parkinson.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Settembre 2021
Eight-hours conventional versus adaptive deep brain stimulation of the subthalamic nucleus in Parkinson’s disease
Autori:
Tommaso Bocci, M. Prenassi, M. Arlotti, F.M. Cogiamanian, L. Borrellini, E. Moro, A.M. Lozano, J. Volkmann, S. Barbieri, A. Priori, S. Marceglia
Corresponding author: Alberto Priori (alberto.priori@unimi.it), "Aldo Ravelli" Research Center for Neurotechnology and Experimental Brain Therapeutics, Department of Health Sciences, University of Milan Medical School, Milan, Italy
First author: Tommaso Bocci e Marco Prenassi (co-authorship)
Pubblicato su: NPJ Parkinsons Dis. 2021 Sep 28;7(1):88. doi: 10.1038/s41531-021-00229-z
Tommaso Bocci
"Aldo Ravelli" Research Center for Neurotechnology and Experimental Brain Therapeutics, Department of Health Sciences, University of Milan Medical School, Milan, Italy
III Neurology Clinic, ASST Santi Paolo e Carlo, Milan, Italy
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Negli ultimi anni è avvenuto un notevole progresso nello sviluppo di tecniche invasive di stimolazione cerebrale per il trattamento della Malattia di Parkinson (PD). In questo contesto è, ad esempio, emerso un possibile ruolo della potenza delle oscillazioni in banda beta (12-35 Hz) a livello subtalamico come affidabile biomarcatore neurofisiologico per il controllo dei cosiddetti sistemi di stimolazione cerebrale profonda adattiva (aDBS). L'approccio aDBS si basa su un modello a feedback in cui le registrazioni dei biopotenziali (ovvero i local fields potentials - LFP) del nucleo subtalamico sono utilizzate per stimare lo stato clinico del paziente e, a sua volta, per guidare eventuali modifiche dei parametri di stimolazione. Nello studio condotto dal Dott.Bocci e coll. in pazienti affetti da Malattia di Parkinson sono stati confrontati gli effetti sui sintomi motori della delle tecniche di stimolazione cerebrale profonda convenzionale (cDBS) e adattiva (aDBS). Sono stati esaminati complessivamente otto soggetti valutati in due sessioni di stimolazione di 8 ore (cDBS e aDBS) durante la loro regolare assunzione di levodopa e durante le loro normali attività quotidiane. I punteggi clinici rilevati mediante la Unified Parkinson's Disease Rating Scale (UPDRS-III) e la scala Rush per le discinesie, in aggiunta all'energia elettrica totale erogata ai tessuti al secondo (TEEDs), sono risultati significativamente più bassi nella sessione aDBS. Durante l'intero esperimento, non sono stati osservati effetti collaterali. Sebbene i potenziali benefici degli approcci basati sull’aDBS, rispetto alla cDBS, sono stati dimostrati da diversi gruppi in passato, l’aspetto maggiormente innovativo ed originale del presente lavoro consiste nella dimostrazione che l’ aDBS può essere tecnicamente fattibile nella vita quotidiana e rappresenta un trattamento sicuro, ben tollerato ed efficace per periodi di stimolazione relativamente lunghi nell’arco della giornata. Di conseguenza lo studio rappresenta una nuova e convincente evidenza a supporto del potenziale impatto che potrebbe avere l’aDBS nella gestione terapeutica dei pazienti con Malattia di Parkinson. Gli autori sottolineano correttamente una serie di possibili limitazioni e fattori di confondimento dello studio. Gli autori enfatizzano inoltre la necessità di ulteriori studi basati su casistiche più numerose per confrontare ulteriormente le metodiche aDBS e cDBS e confermare quindi i risultati del presente lavoro, soprattutto per periodi di stimolazione più lunghi. Ulteriori studi saranno inoltre necessari in pazienti con fenotipo tremorigeno, i quali potrebbero beneficiare di biomarcatori aggiuntivi, rispetto alle oscillazioni in banda beta, ed una soglia più bassa per innescare la stimolazione, rispetto ai pazienti fenotipo bradicinetico-rigido.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Agosto 2021
Motor and cognitive outcomes of Cerebello-Spinal Stimulation in neurodegenerative Ataxia
Autori:
Alberto Benussi,
V. Cantoni, M. Manes, I. Libri, V. Dell’Era, A. Datta, C. Thomas, C. Ferrari, A.B. Di Fonzo, R. Fancellu, M. Grassi, A. Brusco, A. Alberici, B. Borroni
Corresponding author: Barbara Borroni (barbara.borroni@unibs.it), Dipartimento Scienze Cliniche e Sperimentali Università degli Studi di Brescia, P.le Spedali Civili, Brescia, Italy
Pubblicato su: Brain, Volume 144, Issue 8, August 2021, Pages 2310–2321, https://doi.org/10.1093/brain/awab157
Alberto Benussi
Neurology Unit, Department of Clinical and Experimental Sciences, University of Brescia, Italy
Neurology Unit, Department of Neurological and Vision Sciences, ASST Spedali Civili, Brescia, Italy
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Brain
Le atassie cerebellari rappresentano un gruppo eterogeneo di disturbi disabilitanti caratterizzati da sintomi motori e cognitivi, per i quali non è ad oggi disponibile un trattamento efficace. In questo contesto, tuttavia, alcune evidenze scientifiche suggeriscono un possibile impiego delle tecniche di stimolazione transcranica non-invasiva. Nel presente studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, seguito da una fase in aperto, condotto dal Dott. Benussi e coll. sono stati indagati i possibili effetti a breve e a lungo termine di un innovativo approccio di stimolazione transcranica non-invasiva. Gli autori hanno applicato la stimolazione transcranica cerebello-spinale a corrente diretta (tDCS) in sessantuno pazienti con atassia neurodegenerativa. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi durante la prima fase controllata dello studio. Alla valutazione basale (T0), un primo gruppo è stato sottoposto a stimolazione placebo (tDCS di controllo) mentre un secondo gruppo è stato sottoposto a tDCS vera (stimolazione cerebellare anodica e spinale catodica). I soggetti sottoposti a tDCS vera sono stati trattati per 5 giorni a settimana per 2 settimane (T1) consecutive. A seguire, è stata effettuata una valutazione di follow-up a 12 settimane (T2) (fase randomizzata, in doppio cieco, controllata con placebo). Successivamente al follow-up delle 12 settimane (T2), tutti i pazienti hanno ricevuto un secondo trattamento di tDCS vera (secondo le medesime modalità) per ulteriori 5 giorni a settimana per 2 settimane. Sono state quindi effettuate ulteriori valutazioni di follow-up a 14 settimane (T3), 24 settimane (T4), 36 settimane (T5) e 52 settimane (T6) (fase in aperto). In ciascuna seduta di valutazione sono stati raccolti dati clinici e neuropsicologici. Inoltre, sono stati raccolti dati neurofisiologici, ovvero sono state effettuate misurazioni della connettività cerebellare-motoria mediante stimolazione magnetica transcranica (TMS). A seguito della tDCS vera, gli autori hanno osservato un miglioramento significativo dei punteggi sia motori (valutati mediante scale cliniche standardizzate) che cognitivi (valutati mediante la scala della sindrome cognitiva affettiva cerebellare), nonché dei punteggi relativi alla qualità della vita dei pazienti. A seguito della tDCS vera, gli autori hanno inoltre rilevato modificazioni, sia a breve che a lungo termine, nell'eccitabilità della corteccia motoria e nell'inibizione cerebellare. A questo proposito, gli autori hanno osservato che il miglioramento dei punteggi motori e cognitivi dopo stimolazione vera correlavano con il ripristino dell'inibizione cerebellare valutata mediante TMS. Un ulteriore risultato dello studio riguarda l’effetto additivo descritto dopo due sessioni di trattamento con tDCS vera. I risultati dello studio sembrano pertanto indicare la tDCS cerebello-spinale come un promettente approccio terapeutico per i sintomi motori e cognitivi in pazienti con atassia neurodegenerativa.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Luglio 2021
Driving motor cortex oscillations modulates bradykinesia in Parkinson's Disease
Autori:
Andrea Guerra,
D. Colella, M. Giangrosso, A. Cannavacciuolo, G. Paparella, G. Fabbrini, A. Suppa, A. Berardelli, M. Bologna
Corresponding author: Alfredo Berardelli (alfredo.berardelli@uniroma1.it), Department of Human Neurosciences, Sapienza University of Rome, and IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS), Italy, Viale dell’Università 30, 00185 Rome, Italy.
Pubblicato su: Brain. 2021 Jul 10;awab257. doi: 10.1093/brain/awab257. Online ahead of print.
Andrea Guerra
Department of Human Neurosciences, Sapienza University of Rome, Rome, Italy
IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS), Italy
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Brain
La bradicinesia è il sintomo principale della Malattia di Parkinson e nel corso degli ultimi anni, numerosi studi neurofisiologici hanno contribuito a chiarirne i meccanismi fisiopatologici. Ad esempio, studi basati su registrazioni effettuate mediante elettrodi di profondità hanno dimostrato che le oscillazioni beta (β) e gamma (γ) sono alterate nei gangli della base dei pazienti affetti da Malattia di Parkinson. In alcuni casi, sono state inoltre descritte correlazioni tra le misurazioni dell’attività oscillatoria dei gangli della base e i parametri di movimento alterati nei pazienti a conferma di un possibile ruolo fisiopatologico di queste alterazioni. Ad oggi, tuttavia, non è chiaro se possibili alterazioni dell’attività oscillatoria siano presenti oltre che a livello die gangli della base anche a livello delle aree corticali motorie ed in particolare della corteccia motoria primaria (M1). Nel lavoro condotto dal Dott. Guerra, sono state indagate possibili relazioni tra i ritmi β e γ di M1 e la bradicinesia in pazienti con Malattia di Parkinson. A questo proposito, è stata utilizzata la tecnica della stimolazione transcranica a corrente alternata (tACS). La tACS consente infatti di modulare, in maniera non invasiva, i ritmi corticali sfruttando l’effetto di trascinamento delle oscillazioni endogene. Nello studio, sono state impiegate sia la β- che la γ-tACS di M1. Eventuali modificazioni delle caratteristiche della bradicinesia, in diverse condizioni di stimolazione, sono state quantificate analizzando i movimenti ripetitivi delle dita (finger tapping) con tecniche di analisi cinematica. Sono state misurate ampiezza e velocità del movimento ed effetto sequenza (ovvero il decremento di ampiezza e velocità del movimento durante la ripetizione del movimento). Per verificare se possibili variazioni del grado di bradicinesia, durante tACS, dipendessero da modifiche in specifici circuiti di M1, è stata studiata l’inibizione intra-corticale a breve intervallo (SICI) e l’inibizione afferente di breve latenza (SAI). I pazienti sono stati infine studiati in due sessioni sperimentali distinte, ovvero OFF e ON terapia dopaminergica ed i risultati dei pazienti sono stati confrontati con quelli ottenuti in un gruppo di soggetti sani di controllo. Nei pazienti, la β-tACS e la γ-tACS erano in grado di determinare rispettivamente una riduzione della velocità ed un aumento dell'ampiezza del movimento. Tuttavia, non sono state osservate modificazioni dell'effetto sequenza in nessuna delle condizioni di stimolazione testate. Inoltre, la SICI è risultata diminuita sia durante β- che γ-tACS. Gli effetti della tACS sono inoltre risultati comparabili tra le sessioni OFF e ON. I risultati dello studio suggeriscono pertanto che le oscillazioni in banda β e γ di M1 svolgono verosimilmente un ruolo nella fisiopatologia della bradicinesia nella Malattia di Parkinson. Contestualmente, i cambiamenti nell'attività inibitoria GABA-A-ergica interneuronale a livello di M1 sembrerebbero svolgere un ruolo compensatorio per contrastare la bradicinesia. In conclusione, i risultati del presente lavoro enfatizzano il ruolo di M1 nella fisiopatologia della bradicinesia nella Malattia di Parkinson e offrono nuovi spunti per migliorare l’impiego delle tecniche di stimolazione cerebrale non-invasiva, a fini terapeutici, in questa condizione patologica.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Giugno 2021
Retinal thickness and microvascular pathway in idiopathic rapid eye movement sleep behaviour disorder and Parkinson’s disease
Autori:
Cristina Rascunà,
C.E. Cicero, C.G. Chisari, A. Russo, L. Giuliano, N. Castellino, C. Terravecchia, M. Grillo, A. Longo, T. Avitabile, M. Zappia, M. Reibaldi, A. Nicoletti
First author: Cristina Rascunà & Calogero Edoardo Cicero
Corresponding author: Alessandra Nicoletti (anicolet@unict.it
), Department of Medical, Surgical Sciences and Advanced Technologies GF Ingrassia, Section of Neurosciences, University of Catania, Catania, CT, Italy.
Pubblicato su: Parkinsonism Relat Disord. 2021 Jul; 88:40-45. doi: 10.1016/j.parkreldis.2021.05.031. Epub 2021 Jun 6.
Cristina Rascunà
Department of Medical, Surgical Sciences and Advanced Technologies GF Ingrassia, Section of Neurosciences, University of Catania, Catania, CT, Italy.
IRCCS C. Mondino Foundation, Pavia, Italy
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Sebbene la malattia di Parkinson venga classicamente considerata un disordine del movimento, diversi sintomi non motori sono oggi ritenuti comuni manifestazioni della malattia. L’aspetto di particolare rilevanza scientifica riguardante i sintomi non motori nella malattia di Parkinson, consiste nel fatto che alcuni di questi sembrano effettivamente caratterizzare la Malattia di Parkinson sin dalle sue fasi precoci e precedere la comparsa anche dei sintomi motori. È il caso, ad esempio, del disturbo idiopatico del comportamento in sonno REM (iRBD), considerato ad oggi il principale marker nella diagnosi di "Malattia di Parkinson in fase prodromica". Tra i sintomi non motori, nella malattia di Parkinson sono stati inoltre descritti disturbi visivi, intrepretati come espressione di possibile disfunzione della corteccia visiva o di degenerazione retinica. Nello studio condotto dalla Dott.ssa Rascunà e dal Dott. Cicero, sono state ulteriormente indagate le caratteristiche di un eventuale degenerazione retinica nella Malattia di Parkinson. È stato specificatamente valutato lo spessore degli strati retinici ed il circolo microvascolare retinico in tre gruppi: in 19 pazienti con iRBD, 21 pazienti affetti da Malattia di Parkinson e 17 soggetti sani (gruppo controllo). Sono state utilizzate tecniche basate sulla tomografia ottica computerizzata (OCT) e sulla angiografia-OCT (OCT-A). Come principale risultato dello studio è emerso che tutti gli strati retinici maculari (ad eccezione dell'epitelio pigmentato retinico) erano significativamente più sottili nei soggetti con iRBD e con Malattia di Parkinson rispetto ai soggetti sani di controllo. Questo dato è stato confermato tenendo in considerazione possibili covariate (ad esempio età, sesso e comorbidità come l’ipertensione). Inoltre, nei pazienti con iRBD, è stato osservato un peculiare pattern microvascolare retinico, caratterizzato da una maggiore vascolarizzazione del plesso capillare profondo rispetto ai pazienti con Malattia di Parkinson e ai soggetti sani di controllo. Nel lavoro vengono avanzate alcune ipotesi per intrepretare i risultati ottenuti. Ad esempio, viene menzionato un eventuale rimodellamento vascolare causato da fenomeni infiammatori indotti dall’accumulo di alfa-sinucleina. L’interpretazione delle cause del coinvolgimento retinico nella malattia di Parkinson rimane aperta. Tuttavia, i risultati del presente studio suggeriscono che l’esame della retina mediante strumentazione non invasiva, ovvero OCT e OCT-A, potrebbe permettere di mettere in evidenza in maniera agevole biomarcatori di neurodegenerazione nei soggetti con iRBD. I risultati dello studio hanno pertanto possibili implicazioni diagnostiche nell’ambito della Malattia di Parkinson, ed in particolare nella sua fase prodromica. Come sottolineano correttamente gli autori dello studio, i risultati del presente lavoro dovranno comunque essere confermati in una casistica più ampia di pazienti.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Maggio 2021
X-linked parkinsonism: phenotypic and genetic heterogeneity
Autori:
Giulia Di Lazzaro,
F. Magrinelli, C. Estevez-Fraga, E.M. Valente, A. Pisani, K.P. Bhatia
Corresponding author: Giulia Di Lazzaro (giulia.dilazzaro@gmail.com
), Department of Clinical and Movement Neurosciences, UCL Queen Square Institute of Neurology, University College London, London, United Kingdom; Department of Systems Medicine, Tor Vergata University of Rome, Rome, Italy.
Pubblicato su: Mov Disord. 2021 Jul;36(7):1511-1525. doi: 10.1002/mds.28565. Epub 2021 May 7.
Giulia Di Lazzaro
Department of Clinical and Movement Neurosciences, UCL Queen Square Institute of Neurology, University College London, London, United Kingdom.
Department of Systems Medicine, Tor Vergata University of Rome, Rome, Italy.
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Dal 1997, anno in cui è stata identificata la prima mutazione nel gene SNCA, sono stati identificati molti altri geni associati a forme ereditarie della malattia di Parkinson. Tra queste, Il parkinsonismo legato all'X che comprende una serie di disturbi rari ed eterogenei, ereditati principalmente come tratto recessivo e pertanto più comuni in individui di sesso maschile. Nel presente lavoro, la Dott.ssa di Lazzaro, insieme ad un gruppo di esperti italiani ed internazionali, ha condotto una revisione della letteratura sul tema del parkinsonismo legato all'X enfatizzando le più recenti acquisizioni in questo ambito. Il lavoro propone una dettagliata e aggiornata panoramica delle più rilevanti forme di parkinsonismo legato all'X, ovvero: distonia-parkinsonismo legato all'X (XDP, malattia di Lubag), sindrome da tremore/atassia associata alla X fragile (FXTAS), neurodegenerazione associata alla proteina beta-propeller (BPAN, NBIA/PARK-WDR45), malattia di Fabry, sindrome di Waisman, spettro dei disordini legati alle mutazioni del gene metil CpG (MeCP2), sindrome da deficit di fosfoglicerato chinasi-1 (PGK1) e parkinsonismo-spasticità legato all'X (XPDS). Gli autori hanno enfatizzato i peculiari aspetti clinici delle suddette condizioni patologiche, laddove il parkinsonismo è variabilmente associato a ulteriori segni neurologici (ad e. tremore d’azione) e non neurologici. In particolare, una delle più comuni manifestazioni sindromiche del parkinsonismo legato all'X consiste in una encefalopatia infantile con epilessia e/o disabilità cognitiva. In questo contesto, l'epilessia può infatti rappresentare la manifestazione clinica d'esordio e precedere il parkinsonismo anche di qualche anno. A completamento della discussione di aspetti clinico-fenomenologici, nel presente lavoro, sono state inoltre menzionate le principali alterazioni radiologiche riportate in letteratura nell’ambito del parkinsonismo legato all'X, possibilmente utili nel corretto inquadramento diagnostico dei pazienti. Gli autori hanno infine affrontato i complessi aspetti di eterogeneità genetica del parkinsonismo legato all'X. Sono stati discussi i vari geni ed i diversi tipi di mutazione implicati in queste condizioni patologiche, incluse le "classiche" varianti codificanti e le espansioni introniche ripetute. Le conoscenze delle basi genetiche del parkinsonismo legato all'X hanno importanti implicazioni per intrepretane meccanismi patogenetici e fisiopatologici. Tra queste, nel lavoro vengono menzionate alterazioni metaboliche (PGK1), disfunzioni lisosomiali (XPDS) e alterazioni del traffico vescicolare (sindrome di Waisman). Tuttavia, come correttamente sottolineato dagli autori, in molti casi gli aspetti genetici e patogenetici del parkinsonismo legato all'X rimangono poco definiti. Una maggiore consapevolezza ed una più approfondita conoscenza del parkinsonismo legato all'X e delle modalità con cui vengono ereditate le varie patologie che rientrano in questa categoria ha importanti implicazioni per la diagnosi, la gestione e la consulenza genetica dei pazienti.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Aprile 2021
Analyses of peripheral blood dendritic cells and magnetic resonance spectroscopy support dysfunctional neuro-immune crosstalk in Tourette Syndrome
Autori:
Marianna Sarchioto,
F. Howe, I.E. Dumitriu, F. Morgante, J. Stern, M.J. Edwards, D. Martino
Corresponding author: Davide Martino (davide.martino@ucalgary.ca
), Department of Clinical Neurosciences, University of Calgary and Hotchkiss Brain Institute, Calgary, AB, Canada
Pubblicato su: Eur J Neurol. 2021 Jun;28(6):1910-1921. doi: 10.1111/ene.14837. Epub 2021 Apr 16.
Marianna Sarchioto
Neurosciences Research Centre, Molecular and Clinical Sciences Research Institute, St George's, University of London, London, UK.
Department of Neuroscience "Rita Levi Montalcini", University of Turin, Turin, Italy
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PubMed
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Recenti evidenze supportano l’ipotesi che alcuni tra i principali disordini dello sviluppo neurologico, come l’autismo, il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) e la sindrome di Tourette (TS) potrebbero dipendere da un’interazione disfunzionale tra i sistemi immunitario e nervoso. Ciò implica un’alterazione della risposta immunitaria allo stress ed eventualmente della maturazione cerebrale. In questo contesto è stato ipotizzato che un ruolo chiave potrebbe essere svolto dalle cellule dendritiche che, come è noto, sono implicate nella patogenesi di numerose condizioni autoimmuni, tra cui la sclerosi multipla (SM), la psoriasi, il diabete di tipo 1 ed il lupus sistemico eritematoso sistemico. Nello studio condotto dalla Dott.ssa Sarchioto, in collaborazione con autori internazionali, sono stati valutati 18 pazienti affetti da TS e 18 volontari sani di età paragonabile. Sono state esaminate le cellule dendritiche circolanti nel sangue periferico e sono state quindi caratterizzate in plasmacitoidi (PDC), mieloidi di tipo 1 (MDC1) e mieloidi di tipo 2 (MDC2). Sono state inoltre valutate possibili relazioni con variabili cliniche e i metaboliti cerebrali misurabili tramite spettroscopia protonica di risonanza magnetica (H-MRS). Dall’analisi dei dati raccolti non sono emerse differenze significative tra gruppi nelle concentrazioni assolute (o dei vari sottoinsiemi) delle cellule dendritiche. Inoltre, non sono state rilevate differenze nei metaboliti infiammatori cerebrali tra pazienti e controlli. I pazienti affetti da TS con ansia (lieve, moderata e severa) hanno tuttavia mostrato un aumento significativo degli MDC1 rispetto ai pazienti affetti da TS senza ansia. Gli autori hanno inoltre rilevato una robusta correlazione negativa tra la frequenza di MDC1 e la concentrazione totale di creatina a livello delle aree frontali dei pazienti con TS. Questo ultimo dato evidenzia la potenziale associazione tra i cambiamenti metabolici di aree cerebrali direttamente coinvolte nel controllo del comportamento ed uno stato proinfiammatoprio sistemico. Gli autori concludono quindi che il sottoinsieme MDC1 nei pazienti affetti da TS che manifestano ansia potrebbe quindi svolgere un ruolo chiave nell’interazione disfunzionale tra i sistemi immunitario e nervoso favorendo uno stato proinflammatorio sistemico. Data l’eterogeneità clinica della TS, gli autori riconoscono che il campione da loro studiato potrebbe non essere necessariamente rappresentativo dell’intera popolazione dei pazienti. In secondo luogo, nello studio viene correttamente sottolineato che la terapia farmacologica, a cui erano sottoposti la maggior parte dei pazienti, potrebbe rappresentare un potenziale fattore di confondimento. I risultati dello studio sottolineano comunque l'importanza di indagare ulteriormente i possibili meccanismi immunologici alla base dei disordini neurologici dello sviluppo ed in particolare il ruolo che questi potrebbero svolgere in specifiche manifestazioni cliniche.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Marzo 2021
Art therapy for Parkinson's disease
Autori: Alberto Cucca, A. Di Rocco, I. Acosta, M. Beheshti, M. Berberian, H.C. Bertisch, A. Droby, T. Ettinger, T.Ee Hudson, M. Inglese, Y.J. Jung, D.F. Mania, A. Quartarone, J.R. Rizzo, K. Sharma, A. Feigin, M.C. Biagioni, M.F. Ghilardi
Corresponding author: Alberto Cucca (alberto.cucca@nyulangone.org), The Marlene and Paolo Fresco Institute for Parkinson’s and Movement Disorders, Department of Neurology, NYU School of Medicine, New York, NY, USA
Pubblicato su: Parkinsonism & Related Disorders, Volume 84, March 2021, Pages 148-154
Alberto Cucca
The Marlene and Paolo Fresco Institute for Parkinson's and Movement Disorders, Department of Neurology, NYU School of Medicine, New York, NY, USA
Department of Life Sciences, University of Trieste, Trieste, Italy
Department of Physical Medicine and Rehabilitation, Villa Margherita Fresco Parkinson Center, Vicenza, Italy
Articolo disponibile su:
Parkinsonism & Related Disorder
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Arte e neuroscienze sono due culture che vengono spesso poste a confronto. È stato ad esempio ipotizzato che la pratica delle attività artistiche potrebbe stimolare alcune funzioni neurologiche, in particolare l'attenzione, la creatività, l'astrazione, il linguaggio simbolico e l’ideazione associativa. Inoltre, il processo creativo dell'arte visiva potrebbe implementare alcuni aspetti della funzione visiva, ovvero percezione ed elaborazione delle immagini. A questo proposito, negli ultimi anni, sono emerse alcune evidenze scientifiche sul possibile ruolo della cosiddetta art teraphy in pazienti affetti da varie condizioni neurologiche. Tra queste, l’art teraphy è stata ad esempio impiegata nel disturbo post-traumatico da stress, nell’ansia cronica, nella depressione maggiore ed in altre condizioni neuropsichiatriche, nella demenza ed infine vi sono alcune osservazioni aneddotiche anche in pazienti con malattia di Parkinson. Nell’insieme è stato osservato che l’art teraphy potrebbe migliorare il benessere fisico, mentale ed emotivo, dei pazienti. Nello studio open-label condotto dal Dott. Alberto Cucca è stato ulteriormente approfondito il potenziale ruolo riabilitativo dell’ art teraphy in pazienti affetti da malattia di Parkinson. Sono stati specificatamente indagati i possibili effetti nell’ambito del dominio visivo ed eventuali modificazioni anche della funzione motoria e più in generale dei sintomi clinici dei pazienti. I pazienti sono stati coinvolti in vari progetti artistici, secondo un protocollo precedentemente applicato dallo stesso autore. I pazienti sono stati quindi valutati mediante scale cliniche standardizzate per la valutazione delle funzioni motorie e non motorie (ad es. UPDRS, BDI, MoCA) e altri test specifici (ad es. Pegboard Test, Timed Up and Go Test - TUG, ed il Benton Visual Recognition Test – BVRT durante il quale sono stati inoltre registrati i movimenti oculari). Inoltre, i pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI) per valutare eventuali cambiamenti della connettività funzionale, in particolare nel contesto dei network attentivi (DAN) e del controllo esecutivo (ECN). I dati ottenuti nei pazienti sono stati confrontati con quelli raccolti in un gruppo di soggetti di controllo. Alla valutazione basale, nei pazienti è stata rilevata un’alterazione delle funzioni visuo-cognitive e dei movimenti oculari. Le analisi di fMRI hanno mostrato un’aumentata connettività funzionale all'interno di DAN ed ECN nei pazienti rispetto ai controlli. Dopo art therapy, è stato osservato un miglioramento delle capacità visuo-cognitive e di esplorazione visiva dei pazienti nonché dei punteggi dell’UPDRS. L'analisi fMRI ha mostrato che i suddetti miglioramenti erano sottesi da modifiche della connettività funzionale, in particolare dei network incentrati sulle aree visive. In conclusione, lo studio dimostra che l'art therapy potrebbe avere un ruolo nella riabilitazione di funzioni non solo cognitive, ma anche motorie nei pazienti con malattia di Parkinson. Ulteriori studi sono necessari per escludere un eventuale effetto placebo e confermare i risultati originali del presente lavoro.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Febbraio 2021
Voice analysis with machine learning: one step closer to an objective diagnosis of Essential Tremor
Autori:
A. Suppa, Francesco Asci,
G. Saggio, P. Di Leo, Z. Zarezadeh, G. Ferrazzano, G. Ruoppolo, A. Berardelli, G. Costantini
First author: Antonio Suppa, Francesco Asci (coautorship)
Corresponding author: Prof. Alfredo Berardelli (
alfredo.berardelli@uniroma1.it), Department of Human Neurosciences and Neuromed Institute, Sapienza University of Rome, Italy
Pubblicato su: Mov Disord. First published: 02 February 2021 https://doi.org/10.1002/mds.28508
Il tremore d'azione (posturale e cinetico) dell'arto superiore rappresenta la caratteristica preminente del tremore essenziale; tuttavia, i pazienti affetti da questa condizione patologica hanno spesso anche un evidente tremore della voce. A differenza del tremore dell'arto superiore, ben caratterizzato in studi clinici e neurofisiologici, il tremore della voce in pazienti con tremore essenziale è stato oggetto di un limitato numero di lavori scientifici. Nello studio condotto dal Dott. Francesco Asci dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli, in coautorship con il Dott. Suppa dell'Università Sapienza di Roma e in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’Università Tor Vergata di Roma, è stato esaminato in maniera oggettiva il tremore della voce e la sua risposta al trattamento farmacologico sintomatico nei pazienti con tremore essenziale. A questo proposito è stata impiegata una innovativa metodica di analisi della voce basata sull’analisi spettrale e tecniche di apprendimento automatico (machine learning). Nel complesso, sono stati studiati 58 pazienti ed un gruppo di soggetti sani paragonabili per età e sesso. Sono stati registrati campioni di voce durante l'emissione di vocali sostenute utilizzando un registratore audio ad alta definizione. I campioni di voce sono stati quindi sottoposti ad analisi del segnale sonoro mediante le tecniche precedentemente menzionate. Sono state inoltre confrontate le registrazioni della voce ottenute in pazienti con tremore essenziale con o senza tremore della voce clinicamente evidente. Infine, sono state acquisite e confrontate le registrazioni dei pazienti con e senza effetto sintomatico del miglior trattamento medico. L'analisi spettrale ha dimostrato un picco di attività oscillatoria a 2-6 Hz nei pazienti che manifestavano un tremore della voce clinicamente evidente. L'analisi condotta mediante le tecniche di apprendimento automatico ha permesso di discriminare con elevata precisione i controlli sani dai pazienti, indipendentemente dalla presenza di tremore della voce clinicamente evidente. L'analisi ha permesso inoltre di classificare correttamente i pazienti con e senza effetto sintomatico del miglior trattamento medico. Lo studio sottolinea quindi l’importanza dell'analisi della voce come innovativo strumento per supportare la valutazione clinica, inclusa la valutazione della risposta farmacologica, nei pazienti con tremore essenziale. Studi futuri dovranno necessariamente confermare le osservazioni del presente lavoro e chiarire un potenziale ruolo dell'analisi oggettiva della voce in altre condizioni neurologiche, inclusa ad esempio la disfonia spasmodica, per cui può essere a volte difficile effettuare una corretta diagnosi differenziale.
A cura di: M. Bologna (Roma)
Gennaio 2021
Risk of hospitalization and death for COVID-19 in people with Parkinson's disease or Parkinsonism
Autori:
Luca Vignatelli,
C. Zenesini, L.M.B. Belotti, E. Baldin, G. Bonavina, G. Calandra-Buonaura, P.Cortelli, C. Descovich, G. Fabbri, G. Giannini, M. Guarino, R. Pantieri, G. Samoggia, C. Scaglione, S. Trombetti, R. D'Alessandro, F. Nonino, ParkLink Bologna group
Pubblicato su: Mov Disord. 2021 Jan;36(1):1-10. doi: 10.1002/mds.28408. Epub 2020 Dec 2
Luca Vignatelli
IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, UOS Epidemiologia e Statistica, Ospedale Bellaria, Bologna
Articolo disponibile su:
Movement Disorders
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Il rischio di ospedalizzazione e morte nelle persone affette da malattia di Parkinson (MP) o parkinsonismo e COVID-19 è incerto. Indagare questo aspetto è di particolare importanza in considerazione della fragilità delle persone con MP e parkinsonismo (paralisi sopranucleare progressiva, atrofia multisistemica, parkinsonismo vascolare e parkinsonismo non specificato). Ciò è dovuto in particolare all’età dei pazienti, in genere avanzata, e alla presenza di comorbidità multiple, ad esempio problematiche cardiorespiratorie e deterioramento cognitivo, con conseguente necessità di ricorrere spesso ad una polifarmacoterapia. Lo scopo dello studio condotto dal Dott.Vignatelli e del ParkLink Bologna group è stato quello di valutare il rischio di ospedalizzazione e morte per COVID-19 in una coorte di pazienti con MP o parkinsonismo rispetto ad una popolazione di controllo. Lo studio è stato condotto a Bologna, in Emilia-Romagna, una delle regioni colpite più duramente dalla pandemia in Italia ed i dati raccolti si riferiscono alla prima ondata pandemica (periodo di riferimento Marzo-Maggio 2020). Lo studio è stato condotto su una casistica complessiva di 696 persone con MP, 184 persone con parkinsonismo, mentre il gruppo di controllo comprendeva 8590 individui. Tra le variabili di interesse primario sono state considerate il tasso di ricovero ospedaliero per COVID-19 e il tasso di morte per qualsiasi causa. Dallo studio è emerso che il tasso di ospedalizzazione per COVID-19 è risultato paragonabile nelle persone con MP e nei controlli; tuttavia in caso di parkinsonismo il tasso di ospedalizzazione è risultato significativamente più elevato. Inoltre, è stato osservato che età avanzata e comorbidità rappresentano i principali fattori in grado di influenzare il tasso di ospedalizzazione nei pazienti. È stato inoltre rilevato un rischio di morte elevato (circa il 30%) nelle persone ospedalizzate con MP e parkinsonismo, senza tuttavia differenze significative rispetto ai controlli; probabilmente a causa del limitato numero di eventi nei gruppi studiati. In conclusione, la MP di per sé non rappresenta probabilmente un fattore di rischio per ospedalizzazione e morte in caso di COVID-19. Al contrario, il parkinsonismo deve essere considerato un fattore di rischio, in primo luogo a causa di uno stato di salute più grave delle persone che ne sono affette ed inoltre a causa del maggior carico assistenziale richiesto, inclusa la necessità di ricovero in strutture ad elevato rischio di infezione. Gli interessanti risultati emersi nel presente lavoro dovranno necessariamente essere confermati in coorti più ampie studiate in un più lungo periodo di osservazione.
A cura di: M. Bologna (Roma)